22.3.17

L’ITALIA IMPORTA GRANO RADIOATTIVO DALL’ESTERO



Francia: centrali nucleari


Francia: aree di coltivzione del grano


di Gianni Lannes

Il paradosso è che esportiamo il miglior grano italiano all'estero ed importiamo in cambio rifiuti speciali per fare pane e pasta, prediletti dall'industria Made in Italy. Il belpaese, infatti, fa incetta di montagne di frumento da nazioni nucleari senza adeguati ed approfonditi controlli sanitari. Tra i principali fornitori spiccano Russia (35 reattori attivi) , Ucraina (15 reattori attivi), Stati Uniti d’America (99 reattori attivi), Canada (19 reattori attivi) e Francia (58 reattori attivi). Si tratta dei paesi tra i più inquinati al mondo dalla radioattività. Basta leggere il database aggiornato dell’IAEA, o in alternativa esaminare gli studi e le analisi della CRIIAD di Parigi o la letteratura scientifica a livello mondiale, oppure i rapporti dell’Oms. In Francia l’ultimo incidente, come hanno registrato le cronache internazionali, si è registrato il 9 febbraio scorso. Senza contare tutti quelli del passato insabbiati o ignoti e comunque gli impianti dismessi, le fabbriche di produzione del combustibile nucleare e i depositi di scorie radioattive. Senza contare il disastro di Chernobyl riverberato su alcuni territori del vecchio continente. Le conseguenze? A danno della salute umana, soprattutto degli ignari consumatori italiani. 
 
L'Unione europea - alla voce Codex alimentarius - ha innalzato i limiti di radionuclidi inquinanti negli alimenti, che non sono di natura biologica, bensì dettati come sempre dagli interessi finanziari. Giusto per dare un'idea: il plutonio 239 ha un'emività (ossia è pericoloso) di 24.400 anni. Certifica la scienza in materia: anche dosi infinitesimali di radioattività possono innescare processi di cancerogenesi, teratogenesi e mutagenesi. Non a caso in Italia le patologie tumorali aumentano sempre più. E le contromisure? La catena alimentare è compromessa pur di tutelare solo esclusivamente gli sporchi affari di pochi a danno di tanti? Siamo incamminati verso la catastrofe?




Ecco una sorpresa: provate a sovrapporre le mappe geografiche della Francia con le centrali nucleari e troverete anche i campi di grano.

Il frumento tenero è, dopo il mais, il cereale più diffuso al mondo ed è presente in tutti i continenti. Negli ultimi anni la produzione mondiale di frumento tenero, destinata all'alimentazione umana, all'alimentazione animale o all'utilizzo industriale si è collocata tra 650 e 720 Mt (Milioni di tonnellate), pari al 35% circa della produzione cerealicola mondiale. La Cina, con circa 130 Mt (dati raccolto 2015) è il principale produttore al mondo, seguita dall'India (90 Mt), dalla Russia (61 Mt), dagli Stati Uniti (56 Mt) e dalla Francia (43 Mt). I principali esportatori sono invece gli Stati Uniti (23 Mt), la Russia (23 Mt), il Canada e l’Australia (16 Mt). La produzione di frumento tenero è destinata essenzialmente, per il 70% circa, all'alimentazione umana e per il 20% circa a quella animale.

L’industria molitoria italiana ha sviluppato una forte dipendenza dall'estero per l’approvvigionamento del grano tenero. Le importazioni di frumento tenero – in particolare dalla Francia, Germania, Austria e Ungheria e dagli Stati Uniti e dal Canada - rappresentano ormai circa il 60 per cento del fabbisogno interno. Tali importazioni appaiono riconducibili esclusivamente a fattori di natura commerciale, ovvero alla deliberata volontà dell’industria molitoria di approvvigionarsi all'estero per motivi economici, o meglio speculativi, dunque non appaiono motivate da fattori di ordine qualitativo.  In particolare, la produzione di frumenti teneri di forza , destinati essenzialmente alla produzione di prodotti ad alta lievitazione, come alcune tipologie di pane e di prodotti da forno, o all'utilizzazione in miscela con altre tipologie di frumento tenero. La frammentazione dell’offerta nazionale, dovuta anche alla struttura della produzione agricola, un sistema logistico inadeguato e una insufficiente politica di stoccaggio del frumento per classi qualitative omogenee costituiscono, certamente, altri fattori che incidono negativamente, e in modo rilevante, sulla competitività della produzione nazionale rispetto alla produzione estera, ostacolandone la necessaria valorizzazione.











  























http://www.agi.it/estero/2017/02/09/news /esplosione_in_centrale_nucleare_in_francia_nessun_rischio-1468688/














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