2.4.14

NAVI DEI VELENI: “GENOCIDIO E RAGION DI STATO”. PARLA IL MAGISTRATO BRUNO GIORDANO CHE HA SCOVATO IL RELITTO CUNSKI AL LARGO DI CETRARO


nave CUNSKI (ex Lottinge, ex Samantha M., infine Shahinaz)





di Gianni Lannes

Dottor Giordano grazie alla sua testardaggine, dopo anni di inquietanti silenzi le indagini sulle navi dei veleni sono approdate alla prima pistola fumante delle centinaia sparse sui fondali mediterranei. Come ha concretizzato la sua azione investigativa in un ufficio giudiziario privo di risorse elementari e di magistrati?

«Il collega che mi aveva preceduto aveva già fatto dei tentativi e ci fu un primo momento di confusione. Perché si pensò che questa nave a largo di Cetraro coincidesse con un relitto che si sapeva essere naufragato ed esistere in quelle acque. In realtà, il relitto originariamente individuato era la motonave Federico, affondata per cause belliche durante la seconda guerra mondiale. L’anno successivo arrivarono le dichiarazioni di Fonti, ricevute dal dottor Luberto della Dda di Catanzaro che le trasmise alla Procura di Paola. Il collega cercò pure di contattare infruttuosamente la Marina Militare, fece una delega che poi venne revocata senza alcun esito. A questo punto si rivolse alla Regione e chiese all’Arpacal, che aveva un progetto di monitoraggio dei mari antistanti la Calabria, di effettuare una rilevazione in un determinato punto che indicò con delle coordinate. Nel frattempo, infatti, una serie di voci confidenziali, pescatori ed altri avevano segnalato al nostro personale che ad una certa latitudine e longitudine e a certe coordinate sarebbe stato opportuno cercare perché c’era un relitto che non risultava né dai registri navali né da altro. Nel frattempo ero subentrato io. Decisi di raccordarmi direttamente con l’Assessorato all’Ambiente della regione Calabria. Mi rivolsi al dottor Greco, un biologo marino. E allora congiuntamente abbiamo fatto ricorso ad una società privata per mandarla sul posto. La commissione è stata fatta direttamente dalla regione e sul posto ci è andato anche il personale di polizia giudiziaria che fa riferimento a me. In quell’occasione è stato accertato che l’impronta era lunga 110/120 metri e larga 20 e due o tre giorni più tardi, quando il mare lo ha consentito, è stato calato il robot e quel punto l’evidenza ha parlato con la sua eloquenza».

Perché il fascicolo è passato alla Dda di Catanzaro?

Ho ritenuto di inviare alla Dda il fascicolo riguardante il mare per tre ragioni: in primo luogo il collaboratore di giustizia Francesco Fonti si è rifiutato di rendere l’interrogatorio finché non fossero state ripristinate le misure di protezione nei suoi confronti. E la competenza a quel punto era della Dda. Poi, perché il ritrovamento della nave quadrava un cerchio dal punto di vista probatorio e logico. C’erano delle dichiarazioni del 2006, allegate al fascicolo, in cui Fonti diceva: “abbiamo affondato una nave con determinate modalità e con certe caratteristiche al largo di Cetraro. E che conteneva determinate cose”. Queste affermazioni hanno trovato riscontro nel rinvenimento della nave e nelle modalità del suo affondamento, primo perché sembrerebbe esistere uno squarcio a prua provocato da un ordigno collocato all’interno della nave che ha proiettato le lamiere verso l’esterno; secondo perché abbiamo visto adiacenti alla nave, poggiata sul fondale, due fusti che dal tipo di chiusura rinforzata sembrerebbero essere quelli adibiti al deposito di sostanze nocive o tossiche. A questo punto siccome il Fonti descriveva quest’operazione come un affare di tipo ‘ndranghetistico ho pensato che la competenza fosse della distrettuale. Si trattava infatti di aprire uno scenario molto più vasto di quello che poteva sostenere un ufficio come il mio che in quel periodo aveva un solo sostituto e una limitata competenza funzionale e territoriale.

In questa vicenda la politica si è impegnata per far luce?

La politica regionale è stata presente. Quella nazionale ha forse avuto il timore di affrontare conseguenze che richiederanno sforzi enormi dal punto di vista logistico ed economico e riapriranno problematiche vastissime. Come riportare in superficie queste navi, se sono effettivamente più navi e se sono imbottite di rifiuti pericolosi o radioattivi, senza provocare danni per la salute pubblica ulteriori rispetto a quelli che già si sono determinati nel mare? Dove stoccare e smaltire poi queste sostanze? Ci sono una serie di problemi di vasta portata. E a questo punto, se si è trattato di un metodo di smaltimento e non di un episodio isolato, e tutto lascia supporre che possa essersi trattato di un metodo di smaltimento appunto, il problema o è affrontato dalla comunità internazionale oppure non sarà facile venirne fuori da parte della sola Italia.

Fonti ha fatto riferimento a responsabilità politiche e dei servizi segreti. Che ne pensa?

E’ evidente che si tratta di problematiche gestite dal loro nascere al loro epilogo dagli Stati, con una serie di garanzie di estrema sicurezza e con una serie di accorgimenti, in funzione del riserbo dal quale questo tipo di cose viene normalmente circondato.

Sono molti gli Stati che fanno parte di questo sistema illegale di "smaltimento" rifiuti?

Direi proprio di sì. Ripeto: la scoria radioattiva non può chiaramente circolare senza la supervisione delle istituzioni di massima sicurezza. Parlo di circuiti estremamente riservati, e sottoposti alla vigilanza degli apparati più segreti dello Stato. 

Secondo lei in Italia c’è la tecnologia per riportare a galla queste bombe ad orologeria?

Certo. Ho ricevuto tantissime offerte da parte di società private che si sono proposte di risolvere il problema del recupero delle navi e di quello che c’è dentro. E questo la dice lunga sull’affermazione dello Stato che dichiara se stesso come impotente di fronte all’accertamento di determinati fatti. Quindi oggi si può fare tutto, credo che il problema fondamentalmente siano i soldi e il che fare dopo.

 I bidoni filmati dal Rov in che condizioni si trovano?

I bidoni che sono all’esterno della nave sono aperti. Quelli ipoteticamente presenti dentro la stiva, che potrebbe essere semipiena ma che è ricoperta da uno strato melmoso che impone ulteriori accertamenti, dovrebbero essere chiusi.

Si giungerà mai alla soluzione del problema?

Non importa arrivare a una verità quanto risolvere un problema. Fermo restando che per quanto riguarda Cetraro c’è anche un elemento ulteriore: quelle due sagome dietro uno degli oblò che sanno tanto di due teschi. Due teste mummificate. Ma potrebbe anche essere un’impronta fallace. Siamo in emergenza e siamo tutti a rischio. Non c’è famiglia senza lutti, senza leucemia, com’è possibile? Se un metodo c’è stato sa di genocidio. Sa di vero e assoluto disprezzo, in una logica distorta di ragion di Stato, per milioni di persone che si sono trovate malate, morte senza aver avuto contatti con una realtà che potesse neanche lontanamente sapere di attività industriale. Ragazzi di vent’anni morti di leucemia. Quindi, se una perversa logica c’è stata, è stata una logica di genocidio, estremamente perversa, che secondo me qualunque persona civile deve cercare di capire, di interrompere, di arginare. 



Post scriptum




Questa intervista mi è stata concessa dal Procuratore capo di Paola nel 2010. Ho incontrato il dottor Giordano a Paola nel suo ufficio, accompagnato all’epoca dalla scorta della Polizia di Stato. Ho terminato il mio lavoro di scavo giornalistico e così la rendo pubblica. Soprattutto perché a largo di Cetraro c'è una nave imbottita di rifiuti pericolosi, a prescindere dallo sgangherato insabbiamento del governo berlusconiano. 



Dal documento firmato dal generale Sergio Siracusa, datato 11 dicembre 1995, risulta che il Governo di Silvio Berlusconi (dall'11 maggio 1994 al 22 dicembre 1994) destinò una somma ingente al Sismi, il servizio segreto militare, "per lo stoccaggio di rifiuti radioattivi e armi". Al piduista tessera 1816 subentrò dal 17 gennaio 1995 al 17 maggio 1996 il governo di Lamberto Dini. 500 milioni di lire nel '94 alla cosiddetta "intelligence" militare tricolore per fare che? L'ex capo del Sismi alla Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti non ha fornito una risposta.

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