5.4.14

ABRUZZO: UN SECOLO DI AVVELENAMENTO CHIMICO DI ACQUA, PERSONE E AMBIENTE


Bussi sul Tirino (PE), primavera dell'anno 2000: occultamento di rifiuti pericolosi della Montedison - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)





di Gianni Lannes


Come distruggere una terra meravigliosa, annientare la vita e farla franca. Il profitto a tutti i costi quel che costi, altro che difesa della vita umana. Quella che vi racconto ora è una strage realizzata alla luce del sole, sotto l'occhio sempre distratto e compiancete dello Stato, della regione, della provincia, e dei comuni. Il vaso di Pandora in terra abruzzese è stato appena sfiorato. A poca distanza in linea d'aria, a valle, c'è anche la Montecatini di Piano d'Orta.

 http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=PIANO+D%27ORTA


A 40 chilometri da Pescara, si erge il borgo di Bussi sul Tirino, attraversato dall’omonimo fiume che 4 chilometri più a valle confluisce nel Pescara. Sono approdato in loco nel 1999, a caccia delle fabbriche segrete di aggressivi chimici del duce Mussolini. Dai documenti rinvenuti presso l’archivio di Stato di Chieti, emerge che proprio qui si fabbricava la più grande quantità di iprite, fosgene, disfogene e lewisite: gas proibiti dalla Convenzione di Ginevra del 1925, adoperati dal regime fascista in Etiopia, e Libia (in particolare alla voce del criminale di guerra, generale Pietro Badoglio). Quei veleni tossici in gran quantità unitamente ai residui micidiali di lavorazione son stati occultati nelle viscere della terra.

Allora, perché adesso il governo Renzi, il presidente della Repubblica Napolitano, il capo di Stato maggiore della Diffsa non rivelano dove sono state nascosti esattamente questi gas proibiti?


Il Messaggero (edizione Abruzzo); 4 aprile 2000




A Bussi, all’epoca, ho avuto la fortuna di intervistare due anziani operai sopravvissuti alle micidiali produzioni belliche.  
Dopo una puntata – 15 anni fa - della trasmissione radiofonica ”Verso Sud” di Radio Rai con Alberico Giostra, fui contattato da due giornalisti del quotidiano Il Messaggero. Mi fece da prima guida locale l’autoctona Floriana Bucci, cronista di punta.
Ben 14 anni fa tenni una conferenza proprio a Bussi (e le cronache locali del 5 aprile 2000(Il Messaggero e Il Centro) riportarono la sintesi dell’incontro pubblico con la cittadinanza. Parlai con dovizia di riscontri della grave situazione di inquinamento e di occultamento di rifiuti, ed informai personalmente il prefetto di Pescara che mi rispose in forma scritta di non saperne niente (nel mio archivio ho una lettera del funzionario dello Stato). Proprio in quei giorni nello stabilimento Ausimont della Montedison, poi ceduto a Solvay nel 2002, fotografai, arrampicandomi sulla collina adiacente, uno strano movimento all’interno del sito, di big bags e camion, nonché cisterne di una nota azienda locale del ramo trasporti. Chiesi al direttore della fabbrica l’autorizzazione per l’ingresso: ovviamente mi fu negata.  

Bussi sul tirino: Montedison - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)

Quest’area industriale è collocata in prossimità della stazione ferroviaria e del punto di confluenza dei fiumi Tirino e Pescara. Tutti sapevano cosa era accaduto, ma nessuno si allarmò perché regnava una particolare cappa di omertà generale che comprendeva anche la locale stazione dei carabinieri. Fui preso per un visionario, ricevetti minacce anonime di morte, e così andai via.

Bussi sul Tirino (PE): area di occultamento dei rifiuti Montedison - foto Corpo Forestale dello Stato
 Bussi sul Tirino (PE): area di occultamento dei rifiuti Montedison - foto Corpo Forestale dello Stato


Ma Ecco cosa accade ben sette anni dopo, nel marzo dell’anno 2007. La seguente cronaca è stata riportata dal giornale Il Messaggero (edizione Abruzzo), a firma di Floriana Bucci: 

«E’ la discarica abusiva di rifiuti tossici  più grande d’Italia. Forse d’Europa. L’area scoperta dalla Forestale nella stretta fascia di terreno tra la stazione ferroviaria di Bussi e il fiume Pescara, al di sotto del viadotto dell’autostrada A25, è una bomba ecologica che non ha precedenti per estensione e presenza di sostanze inquinanti. Il sostituto procuratore della Repubblica Aldo Aceto, che aveva disposto il sequestro, ieri ha reso noti i termini della lunga operazione di investigazione degli uomini del Corpo Forestale coordinati dal Comandante provinciale Guido Conti. La discarica è stata scoperta dopo più di un anno di indagini, avviate a seguito del rinvenimento nel fiume Pescara di considerevoli quantità di clorometanoderivati. In circa quattro ettari di proprietà di una società immobiliare di Milano alla quale, nel 99, l’aveva ceduta la Montedison, un tempo proprietaria dello stabilimento chimico di Bussi, sono state scovate circa 240 mila tonnellate di sostanze tossiche e pericolose. Forestale e Procura ritengono che lo smaltimento dei rifiuti risalga a diversi decenni fa, e quindi escludono il coinvolgimento della Solvay. I 39 sondaggi esplorativi, compiuti nelle ultime tre settimane hanno portato alla luce circa 185 mila metri cubi di sostanze tossiche  e pericolose che, probabilmente, risalgono ai primi anni novanta. Le analisi di laboratorio hanno accertato la presenza di metalli pesanti, idrocarburi paraffinici, tetraclorometano e altri composti chimici, intrisi nel terreno. I materiali smaltiti abusivamente sono stati individuati fino a cinque metri di profondità: il che fa supporre che le sostanze siano finite nelle falde acquifere. Attualmente però, sembrano esclusi pericoli per la potabilità dell’acqua. Le indagini sono ora rivolte a individuare i responsabili del disastro ambientale. Al momento non ci sono indagati. I reati per i quali procederà la Procura di Pescara sono disastro ambientale e avvelenamento delle acque destinate al consumo umano. Prima che l’intera area torni alla normalità dovranno passare diversi anni e per bonificare la zona inquinata occorreranno circa 57 milioni di euro».

Manager Montedison, funzionari pubblici, politicanti: non si sono limitati a inquinare la val Pescara e l’acqua che per 40 anni hanno bevuto 700 mila abruzzesi. Hanno falsificato le analisi, occultato documenti, eluso i controlli e addirittura, scoppiato lo scandalo, ne hanno approfittato per lucrare sugli appalti. E hanno causato, scrive il pm Aldo Aceto nell’atto che conclude l’inchiesta e accusa 33 persone, «un disastro ambientale di immani proporzioni».

Soprattutto un attentato alla salute di migliaia di ignare persone, bambini compresi. I reati contestati: avvelenamento delle acque, disastro doloso, commercio di sostanze contraffatte o adulterate, delitti dolosi contro la salute pubblica, turbata libertà degli incanti e truffa. Il magistrato ritiene che l’industria Ausimont (Montedison) di Bussi abbia inquinato la falda di acqua con rifiuti chimici tossici, truccando poi le carte per farla franca. E che le autorità pubbliche abbiano «insabbiato» con condotte analoghe.

Impianti simili sono dislocati a Porto Marghera, e Spinetta Marengo in provincia di Alessandria. Chi accumulava affari e chi carriera. Perché gli enti coinvolti sono il feudo della casta: sindaci, onorevoli, consiglieri regionali occupano presidenze e consigli di amministrazione come trampolino per più gloriose poltrone o parcheggio temporaneo. Una ventina i manager Montedison - dall’amministratore delegato in giù - indagati per aver «avvelenato acque destinate all’alimentazione umana». Realizzando, dagli anni ‘60, una «mega discarica abusiva dalle dimensioni gigantesche a meno di venti metri dalla sponda del fiume Pescara e destinata allo smaltimento illegale e sistematico» di centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti tossico-nocivi, scandalo senza pari in Europa. E poi «attuando una vera e propria strategia d’impresa finalizzata a eludere gli obblighi derivanti dalla necessità di eliminare le conseguenze» dell’inquinamento.

Almeno dal 1994 la Montedison ha mentito, spiega il giudice Aceto, «rappresentando una situazione distorta e diversa dalla realtà». Eloquente un appunto trovato dagli investigatori, in cui un dirigente detta la strategia di disinformazione: «nessun rischio», «l’inquinamento non esce, non c’è emergenza» e soprattutto l’inquietante «occorre non spaventare chi non sa». C’erano precise direttive aziendali per «falsificare i dati con dolose manipolazioni, soppressioni e modifiche (...) al fine di occultare la pesantissima e compromessa situazione di inquinamento». Gli agenti del Corpo forestale, guidati dal comandante provinciale Guido Conti, hanno trovato documenti redatti in due versioni: quella coi dati reali (sepolti nei cassetti) e quella con i dati falsi e tranquillizzanti, divulgata alla bisogna. Così l’acqua scorreva contaminata da decine di «sostanze altamente nocive e tossiche per la salute dell’uomo e in taluni casi anche cancerogene» oltre i limiti di legge. Il cloroformio fino a 3 milioni di volte più del consentito.
Ma se la Montedison inquinava e mentiva, chi doveva controllare - per dire: Provincia, Asl, Ato (ente pubblico di coordinamento idrico), Asa (società pubblica che eroga l’acqua) che cosa faceva? Risponde il pm: «Concorrevano a somministrare per il consumo acque contaminate da sostanze altamente tossiche e nocive per la salute umana».Eppure i primi segnali di inquinamento c’erano già nel 1992, ma furono ignorati come altri undici (analisi, documenti e relazioni tecniche) negli anni successivi. Tutti fermi e zitti, anche se «era assolutamente certo che le fonti di inquinamento» non erano «contingenti», ma «endemiche» e riferibili al polo chimico. Nessun accertamento, nessun provvedimento, solo una «pervicace, sistematica, persistente e consapevole lettura riduttiva del fenomeno» con «dati non veridici, manipolati o ottenuti con procedure espressamente vietate dalla legge». Al più «dispendiose e inutili soluzione tampone» come i filtri ai pozzi, peraltro con appalti truccati. Anche se i responsabili saranno puniti dalla giustizia ordinaria, chi risarcirà migliaia di persone dalla perdita della salute e della vita?

Il disastro ambientale di Bussi è innegabile, ma il 28 marzo 2014 dinanzi alla Corte d'Assise di Chieti, dove si celebra il processo con l'accusa di avvelenamento di acque a carico di 19 persone per le discariche dei veleni, hanno parlato due imputat: Luigi Guarracino, direttore dello stabilimento Montedison-Ausimont di Bussi dal 1997-2002 e Maurizio Piazzardi, il chimico nonché tecnico incaricato della società Hpc di effettuare analisi sul sito industriale. E l’esperto ai giudici ha rivelato che le indicazioni su come ed in quale direzione muoversi nelle analisi arrivavano direttamente da Ausimont. Il superamento dei livelli di mercurio, era 4/ 500 volte superiore al limite: tutti i dati consegnati alle autorità recavano i valori di inquinamento più elevati, hanno detto i due imputati. Ad entrambi la Corte, presieduta da Geremia Spiniello, a latere Paolo Di Geronimo, ha poi mostrato una e-mail, inviata da Piazzardi per conoscenza a Guarracino, contenente un appunto da cui si poteva desumere che i dati più allarmanti dovessero essere in qualche modo messi in secondo piano.


Oggi la situazione è regolare? Macché. Alla foce del Pescara c’è il mercurio. L’ennesimo allarme sulle condizioni del fiume e del mare del Wwf e forum dei Movimenti per l’acqua parte dal monitoraggio Arta dell’ambiente marino-costiero. Le analisi, riferite al 2012, hanno rivelato a fine 2013, di fronte al porto di Pescara, la presenza nei mitili di una concentrazione di mercurio più che doppia rispetto ai limiti di legge. Da dove possano arrivare ai mitili il mercurio e altri veleni non è un mistero. Basta risalire il fiume fino a Bussi. Il mercurio è presente nel fiume Pescara da circa 100 anni e tale presenza è riconducibile, «in tutto o in parte», agli scarichi degli impianti cloro-soda dell'ex polo chimico Montedison di Bussi sul Tirino (Pescara). A sostenerlo pubblicamente, bontà sua, è il direttore generale dell'Agenzia regionale per la tutela ambientale (Arta), Mario Amicone, sottolineando che «questi dati sono tutt'altro che clamorosi e non costituiscono, purtroppo, una novità». Ricordando che «la produzione che ha originato tale inquinamento è cessata dal 2008, la rimozione dei vecchi impianti è avvenuta nel 2011 e gli impianti esterni del reparto mercurio sono stati rimossi nel 2013», Amicone sottolinea come «finita la sorgente primaria da cui tale inquinante veniva immesso nell'ambiente, oggi assistiamo alla coda del fenomeno, notevolmente ridotto rispetto al passato, in quanto tale metallo viene rilasciato dai sedimenti del Sito di bonifica di interesse nazionale (Sin), dalle falde rimaste inquinate e dai suoli contaminati».

Iniziare subito la bonifica, è quello che chiedono inascoltati gli ecologisti abruzzesi. Lo Stato ha stanziato 50 milioni di euro,  ma la bonifica è ancora lontana anni luce.

Ermete Realacci
Ecco quello che mi ha dichiarato a registratore acceso Ermete Realacci, (deputato del Pd, renziano inossidabile, ex presidente di Legambiente) presidente della VIII Commissione permanente Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera dei Deputati, in un’intervista da lui rilasciatami in sede parlamentare nel 2007:

Realacci il caso abruzzese è grave? «Indubbiamente. Sia per le dimensioni dei siti inquinati, sia perché lì sono state occultate le scorie più diverse». Cosa suggerisce per la bonifica? «Perimetrare le aree contaminate, puntare su un isolamento totale dei rifiuti industriali, in grado di reggere per secoli agli agenti atmosferici, alle esondazioni dei fiumi e alle dinamiche interne». Quindi, non ci saranno rimozioni? «Non esiste in Italia una discarica controllata che possa accogliere questa enorme quantità di spazzatura chimica». Nel Belpaese, vale ancora il principio di chi inquina paga? «Certo, anche se non siamo negli Stati Uniti d’America, dove il riconoscimento di danno ambientale è maggiormente considerato sul piano finanziario». Quali misure sanitarie nell’immediato saranno adottate per valutare rischi e pericoli reali sulla popolazione? «Suggerisco un monitoraggio epidemiologico mirato a valutare la qualità delle falde acquifere e dei fiumi». Il giudice Aldo Aceto ha denunciato alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle ecomafie che l’occultamento dei rifiuti ha fatto risparmiare alla Montedison centinaia di miliardi di lire. Che ne pensa? «E’ in corso un’indagine giudiziaria tesa ad individuare i responsabili. Ad ogni modo nello Stivale è una pratica diffusa: ogni anno si perdono le tracce del 25 per cento della spazzatura, specialmente rifiuti tossici e pericolosi».

Sono trascorsi sette anni, la bonifica, appunto, non è stata ancora realizzata, ma Realacci come altri onorevoli perfino abruzzesi, siede comodamente in Parlamento, senza aver fatto alcunché di concreto per risolvere questo problema. A proposito: il governatore Chiodi dove si è rintanato?


ABRUZZO: CHERNOBYL DELLA MONTEDISON  

Ben occultati sottoterra a contatto con le falde acquifere e i fiumi Aterno, Pescara, Tirino, incastonati tra i parchi nazionali della Maiella e del Gran Sasso, giacciono alcuni cimiteri chimici. I primi due, estesi per 9 ettari ed uno spessore variabile dai 6 agli 11 metri, sono stati individuati - dopo la soffiata mirata di un testimone oculare - dagli investigatori locali del Corpo Forestale dello Stato, coordinati dal comandante provinciale Guido Conti. E’ stato lui, con i suoi uomini a scovare quel terreno di 3 ettari e 8.500 metri quadrati. L’area era stata ceduta nel 1999 dalla Montedison ad una società immobiliare di Milano - denominata “Come Iniziative Immobiliari” s.r.l. - inserita nel portafoglio del gigante chimico. Dagli scavi giudiziari è emerso l’eczema dell’inquinamento: fumi irrespirabili, gas nauseabondi, chiazze brunastre come ruggine a pelo d’acqua. «I depositi tossici sono stati fatti in un arco temporale che va dagli anni ’60 fino agli inizi degli anni ’90 - rivela dottor Conti - Risulta, inoltre, che sotto la discarica sia inquinata anche la falda». Dodici mesi di indagini serrate, partite dai controlli sui fiumi trasformati in tombini industriali. Poi la svolta, mentre il cancro miete  vittime in questo microcosmo di polmoni soffocati. Lo attestano alcuni rapporti epidemiologici di specialisti universitari e numerosi riscontri clinici di medici di base. In 64 comuni «quasi cinquecentomila persone, residenti nelle province di Pescara e Chieti, bevono da anni acqua contaminata» aveva tuonato nel 2007 il comunista deputato Maurizio Acerbo di Rifondazione, che aveva presentato un’interrogazione parlamentare al presidente del consiglio Prodi e ai ministri dell’Ambiente della salite. A quell’atto parlamentare, ancora adesso, nessuno si è degnato di rispondere. Eppure sono passati altri governi: Berlusconi, Monti, Letta e adesso Renzi.

Le analisi chimiche del WWF confermano: «sostanze tossiche presenti in concentrazioni tra le più elevate al mondo». Il tetracloruro di carbonio, ad esempio - che annienta il sistema nervoso - registra a Torre de’ Passeri un picco di «41,17 microgrammi per litro», a fronte di un valore limite stabilito dall’Organizzazione mondiale della sanità, pari a 4 microgrammi per litro. Finalmente qualcuno inizia a raccontare cosa succedeva sotto quel viadotto dell’autostrada per Roma (A 25), davanti alla stazione ferroviaria di Bussi; ad un soffio da quello che un tempo rappresentava uno dei principali poli chimici d’Italia (Montecatini, poi Montedison, oggi Solvay). E le guardie forestali cominciano a scavare. Le ruspe scendono in profondità e scoprono 185.000 metri cubi di sostanze altamente letali che lentamente per effetto delle piogge, cedono i loro veleni al fiume Pescara. «Per me - precisa il pm Aceto - è determinante capire quando hanno smesso di deporre lì quel materiale, non quando hanno cominciato». 

Gli esperti del CFS stimano «240.00 tonnellate di materiale tossico da rimuovere». Più facile a pronunciarsi che a risolversi. «Perché in Italia - spiega il magistrato - non esiste una discarica di tali dimensioni in cui smaltire tutto questo materiale. E in più, il costo stimato per questo intervento è di circa 58 milioni di euro». Giovanni Damiani, biologo, tecnico dell’Arta e docente universitario di chimica ambientale ed ecologia applicata all’università della Tuscia di Viterbo, non ha dubbi: «Tra i veleni il più pericoloso è l’esacloroetano. Tutte le sostanze rinvenute in quel sito sono estremamente nocive per l’ambiente e per la salute umana, presentano infatti la caratteristica di possedere un elevato grado di solubilità, quindi capaci di inquinare falde e corsi d’acqua. Sono poi altamente tossiche e cancerogene per l’essere umano». 

Recentemente è emersa un’altra Chernobyl chimica, ancora più vasta: un ammasso di rifiuti che sfiora i 12 metri di spessore. Infatti «si è individuata e sequestrata - si legge in una nota di Adriano Goio, commissario delegato per l’emergenza ambientale - una seconda discarica di rifiuti di seconda categoria tipo A, di circa 5 ettari, a monte dello stabilimento di Bussi, in aderenza all’argine di sinistra orografica del torrente Tirino». Più preoccupante è lo status di quest’altra mina ecologica nelle adiacenze della centrale turbogas di proprietà Edison. I pozzi piezometrici hanno riscontrato una presenza di cloroformio nell’acqua di falda superiore di trenta volte il limite massimo consentito. Tale riscontro si è avuto anche dall’Arta regionale che ha rinvenuto tali sostanze più a valle delle discariche, nelle acque dei pozzi di Castiglione a Casauria e Colle Sant’Angelo. Sotto accusa i consigli di amministrazione degli acquedotti locali rei di annacquare i controlli ed intascare stipendi da 400 mila euro all’anno. «Il presidente dell’Aca Bruno Catena e dell’Ato Giorgio D’ambrosio sapevano tutto e da tempo, come l’Asl e l’Arta» aveva accusato il deputato Acerbo. E rincara la dose Augusto De Sanctis del Wwf Abruzzo: «Per anni è stata immessa nelle reti acqua piena di sostanze chimiche nocive». Al momento non risultano indagati; i reati per i quali si procede sono «disastro ambientale» ed «avvelenamento delle acque destinate al consumo umano». Gli esperti del ministero dell’Ambiente stimano complessivamente circa «1 milione di tonnellate di scorie», senza voler considerare altre 4 discariche della Montedison in località diverse dell’Abruzzo: Popoli, Corfinio, Manoppello e L’Aquila. 

Un rapporto di polizia giudiziaria trasmesso il 27 maggio 1994 alla Procura antimafia della città di L’Aquila parla chiaro: «I lavori sono iniziati nel periodo di Natale (…) e la terra più inquinata è stata trasportata a Popoli, dove è stata sotterrata sotto la platea di un capannone industriale in corso di costruzione». Un immobile di proprietà di una delle aziende fiduciarie della Montedison. Un’altra società «costretta a scaricare i materiali di risulta dell’abbattimento dell’ex impianto di iprite presso discariche non autorizzate, prima a Corfinio, poi nella discarica Teges dell’Aquila e attualmente (a fine maggio ’94, ndr) in comune di Manoppello, contrada Pescarina, in un’area adiacente al fiume Pescara». Una gola profonda ha rivelato tutti i retroscena dell’affare Turbogas, mentre le fotografie scattate dagli agenti della squadra mobile documentano il percorso dei camion con i rifiuti: da Bussi fino all’occultamento oscuro.  



  






Pillole di storia

La Montedison nacque nel 1966 dalla fusione tra Montecatini ed Edison; la Montecatini era stata costituita nel 1888 a Montecatini Val di Cecina (PI) per lo sfruttamento delle locali miniere di rame; negli anni dieci del XX secolo entrò nel settore chimico e nei decenni successivi diventò, a colpi di brevetti e di acquisizioni, la maggior azienda chimica italiana, pressoché monopolista in alcune produzioni come l’acido solforico, i concimi, i coloranti (tramite la controllata ACNA); nel 1936, in collaborazione con l’AGIP, costituì l’Anic (Azienda Nazionale Idrogenazione Carburanti), con lo scopo di produrre benzina sintetica, e che sarebbe stato il primo nucleo dell’industria petrolchimica italiana. Ausimont: specializzata nella chimica del fluoro e delle tecnoplastiche, rimase controllata dal gruppo Montedison fino al 2002, quando fu ceduta ed assorbita dal gruppo chimico Solvay. L' Ausimont S.p.A., abbreviazione di Montedison Ausiliari, è stata la controllata del gruppo Montedison operante nel settore della produzione e della commercializzazione degli intermedi e degli ausiliari chimici per l'industria. Nacque ufficialmente il 31 dicembre 1980 in seguito alla decisione della Montedison di divenire una sorta di holding finanziaria, che comportò lo scorporo pressoché totale delle sue attività industriali; vennero così istituite 6 nuove società operative specializzate per settore produttivo, tra cui appunto l'Ausimont. Gli stabilimenti produttivi si trovavano a Bussi sul Tirino, Porto Marghera e Spinetta Marengo. Nel 1981, unica tra le società create l'anno precedente, l'Ausimont divenne essa stessa una holding finanziaria scorporando le attività industriali e dandole successivamente in affitto a tre diverse società. Alla fine del 1983, l'accordo ENI-Montedison comportò una riorganizzazione di alcune aziende del gruppo, tra cui l'Ausimont. Nel 1983 la Montedison rilevò da quest'ultima, tramite la creazione della nuova società Cledia, l'Ausidet; nel 1985, tramite la creazione della nuova società Ateca, rilevò invece l'Ausind. Tra le altre società coinvolte nella riorganizzazione, la Montepolimeri (assorbita dalla Montedipe) venne ridimensionata in maniera radicale e vennero scorporate le sue attività principali: tra le varie scorporazioni, nel 1984, venne conferito all'Ausimont il settore dei tecnopolimeri e dei polimeri speciali, che sarà poi inquadrato nella controllata Dutral. Oltre a ciò l'Ausimont creò una joint venture con la International Octel denominata Siac, per la produzione di additivi per la benzina; inoltre, per conto della Montefluos, ne creò un'altra con la giapponese Asahi Glass denominata Asahimont, per la produzione di gomme florurate. Nel 1988 la Montedison, relativamente alle attività di Ausimont, decise di conferire alla neonata società Enimont (joint venture tra ENI e Montedison) solo il settore gestito dalla Dutral. Nel 1991 l'Ausimont incorporerà direttamente la Montefluos e, nel 2002, la proprietà della società passò infine alla Solvay, che ne cambiò il nome, nel 2003 in Solvay Solexis.
      
RIFERIMENTI:



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