15.8.12

ILVA: INCUBO INFINITO

di Gianni Lannes

«Bisogna mettere fine alla confusione dei ruoli tra governo e magistratura perché l’incertezza che si è creata sul caso dell’Ilva di Taranto mette a rischio l’intero sistema industriale italiano». Ultima parola del ministro dell’Industria, pardon dell’Ambiente. Corrado Clini lancia l’allarme, preoccupato sia delle ricadute sul piano della credibilità e affidabilità del sistema Paese nei confronti degli investitori, soprattutto esteri, sia del fatto che fermare l'impianto a caldo dell'acciaieria richiederebbe troppo tempo e vorrebbe dire di fatto la chiusura definitiva dell’Ilva. E l’addio a migliaia di posti di lavoro.  «La finalità dell’azione del Governo verso la magistratura, con il possibile ricorso alla Consulta che stiamo valutando - scandisce il ministro - è stabilire i ruoli rispettivi, non di aprire un conflitto». Il fatto è, dichiara Clini, che il lavoro del gip, pur «scrupoloso e coraggioso» rischia però «di confliggere con l’esercizio ordinario perché non siamo in presenza di un'amministrazione inadempiente». Il conflitto di attribuzione, insomma, sarebbe l'ultima ratio, in caso non si riesca a trovare una soluzione di equilibrio, che tenga insieme la tutela della salute con quella dei posti di lavoro. Il governo conta molto sulla missione del 17 agosto, quando Clini, Severino e Passera (l’ex banchiere amico dei Riva) saranno a Taranto e incontreranno i dirigenti dell’azienda e gli amministratori locali. Ma soprattutto, sottolinea Clini «speriamo in un incontro almeno con il Procuratore capo, perché se riusciamo a trovare un punto di equilibrio abbiamo risolto i problemi». Peraltro, ha osservato sempre Clini, a Taranto c’è un conflitto interno alla magistratura, visto che il Tar aveva valutato troppo severe le indicazioni dell’autorizzazione integrata ambientale (la nuova, ha garantito, arriverà entro il 30 settembre), mentre il gip le ha considerate inadeguate. In più, le valutazioni di Todisco, insiste Clini, si basano su rischi della salute validi per gli anni passati, ma «impossibili» da correlare con i rischi attuali. Per questo il ministro chiede un aggiornamento dei dati, annunciando che al monitoraggio dell'inquinamento a Taranto collaborerà anche l’Organizzazione mondiale della sanità.
Solito copione - Un passo indietro. Il 9 luglio dell’anno 1960, alla presenza del Ministro dell’Industria Emilio Colombo (già promotore in Basilicata alla Trisaia di Rotondella di un cimitero nucleare segreto), fu adagiata la prima pietra che avrebbe portato a far divenire l’attuale Ilva, allora Italsider, lo stabilimento più inquinante d’Italia. Su di un’area di 528 ettari ben ventimila rigogliosi alberi d’ulivo furono sradicati nell’indifferenza generale, per far posto al siderurgico dello Stato italiano. La superficie occupata dall’area industriale passerà poi a 1.500 ettari. Un enorme stabilimento diviso dalle abitazioni cittadine solo da una strada, calpestando le prescrizioni del Piano Regolatore. 

Il classico governo democristiano - assecondato sotto banco dal Pci - mise in atto una  campagna “informativa” per inculcare nelle teste anche dei più recalcitranti che quella fabbrica era una speranza di redenzione lavorativa per la popolazione; insomma un’opportunità di miglioramento delle condizioni di vita. Subito dopo l’avviamento del primo altoforno nel 1964, iniziarono a sorgere le prime criticità ambientali.  L’associazionismo ambientalista locale, nel 1974, muove i primi passi convocando manifestazioni pubbliche nelle vie del centro cittadino e momenti di sensibilizzazione e riflessione soprattutto nel quartiere Tamburi, il più colpito dall’attività industriale. Durante una manifestazione del 31 gennaio, furono esposti in Piazza della Vittoria panni simbolicamente anneriti dall’inquinamento. I primi studi sull’inquinamento atmosferico indicavano che nella zona occidentale della città esisteva un processo di danno ambientale. 

L’Italsider (a gestione statale) annunciò investimenti per 50 miliardi di lire utili al perfezionamento e potenziamento di impianti di depurazione e abbattimento dei fumi; ed inoltre sbandierò la collaborazione con una società statunitense, la Ecological Science Corporation, per la revisione del processo produttivo. Per i lavori si propagandavano ulteriori investimenti in eco-compatibilità per 75 miliardi di lire. 

Nel 1981 a seguito delle innumerevoli segnalazioni sugli impianti che abbracciavano tutto il polo industriale jonico la magistratura inizia le prime indagini. L’allora pretore di Taranto Franco Sebastio (attuale procuratore capo) indaga per “getto di polveri e inquinamento da gas, fumi e vapori”, i vertici dell’Italsider. Il processo si svolge nel 1982, vede la partecipazione di numerosi testimoni provenienti dai quartieri più a rischio d’inquinamento industriale (Tamburi, Città Vecchia, Paolo VI) e, almeno in una prima fase, la costituzione di parte civile non solo di associazioni ambientaliste ma anche del Comune. Ma un colpo di scena cambia le fasi finali del processo condizionando la sentenza: il sindaco dell’epoca, Giuseppe Cannata, annuncia la revoca della costituzione di parte civile del Comune per motivi di opportunità politica. La stessa farsa che poi la città vedrà con la giunta Di Bello e Florido nell’anno 2004 in un analogo procedimento giudiziario. Risultato? Il processo si concluse con la condanna “esemplare” del direttore dello stabilimento Italsider a 15 giorni di arresto con l’accusa di getto di polveri ma non di inquinamento da fumi, gas e vapori. Nel 1995 l’Oms individua Taranto come “area a grave rischio ambientale”. Tre anni dopo un decreto del presidente della repubblica indica Taranto come “area a grave rischio ambientale”. L’area interessata, oltre al comune di Taranto, comprende altri 4 comuni della provincia jonica (Crispiano, Massafra, Montemesola, Statte) per un totale di 564 km quadrati e 263.614 abitanti. Tuttavia, più recentemente la Regione Puglia ha consentito alla società Appia Energy (Marcegaglia e& soci) di aprire illegalmente un inceneritore di rifiuti a Massafra nel bel mezzo di un agrumeto, a poca distanza dal centro abitato; attualmente addirittura in fase di potenziamento, grazie alla solita autorizzazione facile di Svendola Puglia.

Nel 1995 L’Iri di Stato dell’eterodiretto Romano Prodi invece di bonificare concede in cambio di spiccioli il siderurgico al Gruppo Riva. Nel 1997 la Regione Puglia sigla con Ilva il Primo Atto d’intesa che non prevede né limiti di tempo più stringenti in fatto di risanamento né il ricorso a sanzioni in caso di inadempienze. Nel 2000 saltano fuori le prime relazioni allarmanti del Presidio Multizonale di Prevenzione PMP. L’amministrazione comunale, con un’ordinanza sindacale (6 febbraio 2001) ordinò, entro 15 giorni (poi passati a 90) dalla notifica dell’ordinanza, di realizzare interventi migliorativi relativamente ai forni delle batterie 3 e 6, di ridurre la produzione di coke con il fermo delle batterie 3 e 6 o alternativamente di procedere alla sostituzione delle stesse.  

Nel 2002 arrivò la condanna di primo grado per il gruppo Riva con il procedimento iniziato nel 1999 ed inizierà l’era delle intese Accordo di Programma: al primo Atto di intesa, ne seguiranno altri 3. Solo dopo la sottoscrizione del 3° Atto d'intesa (2004), Comune e Provincia ( Di Bello- Florido) ritireranno la costituzione di parte civile nel processo che aveva visto la condanna in primo grado dei vertici dello stabilimento per le polveri del parco minerali che ricadevano sul quartiere Tamburi (come nel 1982) . Il 14 giugno del 2007 Ippazio Stefàno diventa sindaco di Taranto. Viene riorganizzata l’Arpa (Agenzia Regionale Per l’Ambiente) che iniziava una campagna di rilevamento dei dati dell'inquinamento prodotto dall’Ilva. Emergeranno dati preoccupanti soprattutto per quanto riguarda le emissioni di diossine e di idrocarburi policiclici aromatici. A maggio, PeaceLink, Uil Taranto e il Comitato contro il rigassificatore, presentarono un dossier allarmante sull'inquinamento, soprattutto a causa del mercurio scaricato nell’aria e nel mare. A giugno l’Ilva querelerà i relatori del dossier sull’inquinamento per “procurato allarme ambientale”.   Dal 2008 al 9 luglio 2010 la cittadinanza si sveglia grazie alla presenza di innumerevoli associazioni ecologiste (alcune però eterodirette dai partiti). 

Nel 2008 Altamarea, che raggruppava 18 fra associazioni e movimenti ambientalisti, organizzò la più grande manifestazione contro l’inquinamento a Taranto portando in piazza oltre 20 mila persone. Medesima iniziativa nel 2009. Il 20 novembre 2008 veniva presentata la nuova legge regionale di iniziativa popolare sulle emissioni di diossina, approvata poi il 16 dicembre. La normativa imponeva, a tutti gli impianti che producevano diossine, di rispettare i limiti alle emissioni di 0,4 nanogrammi per metro cubo, all’ora in linea con quelli indicati dal Protocollo di Aarhus. Dopo l’approvazione della “legge antidiossina” l’Ilva minaccia un ricorso contro la legge per incostituzionalità. Così la giunta Vendola approva un’altra legge di interpretazione svuotando la normativa di efficacia.

Il 23 giugno 2010 incalzato dalla mobilitazione popolare il Sindaco Stefàno per placare gli animi, è costretto ad emanare due ordinanze contingibili e urgenti che vietano a tutti i cittadini di usufruire delle aree verdi del quartiere Tamburi perché contaminate da sostanze cancerogene e pericolose per la salute dell’uomo. Sempre nel 2010 il commissario Ue all’ambiente Stavros Dimas, in risposta ad un'interrogazione dell’allora eurodeputato Luigi De Magistris, affermava che “per l’Ilva nessuna autorizzazione è rilasciata in conformità alla direttiva Ippc”. Ad aprile scoppia il caso benzo(a)pirene uno dei cancerogeni genotossici più pericolosi che minacciava la salute della città. L’associazione PeaceLink pubblica i dati dell’inquinante: per 3 anni consecutivi si attesta il superato i limiti di legge. Associazioni e comitati pro-ambiente chiedono la chiusura dell’area a caldo dell’Ilva di Taranto. La Regione Puglia risponde con una legge definita “anti-benzo(a)pirene”, fortemente criticata perché priva di prescrizioni serie. Arrivano anche i numeri dell’Ispra. I dati allarmarono tutti tranne le istituzioni tarantine e romane: benzene: valore soglia 1.000, Ilva rispondeva con un quasi 16.000; biossido di carbonio: valore soglia 100.000, Ilva 10.731.887; arsenico e composti: valore soglia 20, per l’Ilva è 177; diossine + furani: valore soglia 0,1, Ilva quasi 100; PM10: valore soglia prevede 50, Ilva 3.378 . Intanto ad agosto veniva votato il decreto legislativo 155/2010 con il quale il Governo permetteva all’Ilva di continuare ad inquinare “a norma” la città di Taranto con il benzo(a)pirene.
Nel novembre 2010 il governatore Vendola si concede alla pagine patinate della rivista IL PONTE, edita dal clan Riva. E il presidente le spara grosse. Le ultime vicende parlano di elevate quantità anche di benzo(a)pirene. Non è tutto. Tra i veleni spicca, il mercurio: secondo le autocertificazioni (ampiamente sottostimate) dell’Ilva, si tratta di due tonnellate scaricate nell’aria e in mare.

Nel 2011 i tarantini scopriranno che le cozze sono inquinate da diossine e pcb. Si passerà alla distruzione delle stesse e alla perdita di centinaia di posti di lavoro. Per diossina erano già stati abbattuti migliaia di capi di bestiame ed una ordinanza della Regione Puglia era stata emanata per vietare il pascolo entro un raggio di 20 chilometri dal polo industriale. Ad agosto l’allora ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, firmò il decreto per il rilascio dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) allo stabilimento Ilva. Critiche da parte delle associazioni ambientaliste dato che Regione Puglia e Comune di Taranto non avevano presentato nessuna prescrizione. Arriviamo così ai nostri giorni con l’intervento della magistratura tarantina e con una super-perizia che ha portato la stessa a sequestrare gli impianti dell’area a caldo dopo la chiusura dell’incidente probatorio avvenuto il 30 marzo 2012. Il 26 luglio con un nuovo accordo di programma vengono stanziati per la bonifica di Taranto l’inezia di 336 milioni di euro (denaro pubblico). In parte questi fondi andranno non per la bonifica ma per altre opere. Intanto Ilva impugna il provvedimento del GIP Patrizia Todisco davanti al Tribunale del Riesame. Il riesame modifica in parte il provvedimento del GIP ma la stessa Todisco con una nuova ordinanza impone il fermo della produzione. Monti Mario, primo ministro abusivo ed anticostituzionale, è costretto a far arrivare per giorno 17 agosto le sue pedine a Taranto per cambiare le sorti dello stabilimento a favore del profitto padronale Riva.

Analisi, studi e ricerche scientifiche concordano da tempo: Taranto è la città più inquinata d’Europa con un elevato tasso di mortalità per tumore, cancro, e neoplasie in età pediatrica. Ma che importa: contano solo il potere e i soldi sulla pelle dei sudditi.

IL PONTE

2 commenti:

  1. Ho letto l'intervista di Vendola. E' vero, le spara proprio grosse. Che buffone!

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  2. Più recentemente l'ecologista Nichi Vendola, già assoldato dalla Marcegaglia e da don Verzé (dal quale ha ricevuto insieme a Berlusconi il premio cedro d'oro), ha asserito pubblicamente che "a Taranto non c'è emergenza ambientale". Nichi non parla: narra. Svendola Puglia è da anni che rifugge un contraddittorio pubblico con giornalisti non ammaestrati! Di cosa ha paura?

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