16.5.12

EROI DI CARTA.
IL CASO GOMORRA E ALTRE EPOPEE

di Alessandro Dal Lago *

C’è qualcosa che non mi convince in tutta questa storia. Non credo affatto che la criminalità si combatta così, a colpi di moda (…) E’ la stessa retorica che lo scrittore sparge a piene mani a proposito della sua missione nel mondo. Che non sarebbe – si noti la modestia – “confortare gli afflitti ma affliggere i confortati” (…) A me sembra evidente non solo che quella di Saviano è una retorica basata sul senso di colpa (retorica che, in un paese cattolico come l’Italia, suscita facilmente il plauso), ma soprattutto un’ossessione (…) Ha mai svolto Saviano indagini su tante cose di cui parla, a parte la camorra? E improbabile, e allora perché gli si crede o comunque non si discute quello che dice? Perché è un martire, ecco perché. Noi siamo tutti colpevoli di non essere martiri e quindi gli crediamo a prescindere, come avrebbe detto un suo illustre concittadino. L’opinione corrente è che Saviano abbia rivelato in Gomorra i rapporti tra crimine ed economia globalizzata. Sui contenuti e sulla forma della rivelazione ho diversi dubbi , ma la questione è seria (…) Si dovrebbe parlare invece di agglomerati di poteri che si specializzano in pratiche solidali e funzionali tra loro – un tipo di dominio che naturalmente non ha a che vedere con alcuna inclinazione o specificità “culturale” o ctonia di Napoli o del “sud”, ma con processi storici di lunga durata. Di tutto questo troviamo ben poche tracce in Gomorra e in altri scritti di Saviano, salvo riferimenti occasionali e generici, e sempre comunque in un quadro in cui la camorra è male assoluto, non relazionale o forma politica. Nell’assenza del politico in questa “indagine” sulla camorra vedo la manifestazione di una retorica morale consolatoria e quindi un’ideologia: la bontà è tutta dalla parte dello Stato, in base all’opposizione assoluta Legge/Crimine (…) a me il “fenomeno Gomorra” pare perfettamente adeguato al clima culturale dell’Italia contemporanea. In un paese in cui la diffusione della conoscenza è largamente appaltata ai media e i conflitti ridotti a stereotipi, che a guidare l’opposizione morale al crimine organizzato sia lo scrittore-eroe appare del tutto coerente. Quando Saviano dice che la sua missione, oltre che affliggere i confortati, è creare una moda, ammette semplicemente di voler promuovere un legalitarismo unanimista e di maniera: Mondadori ha pubblicato il suo libro, gran parte dei quotidiani lo sponsorizzano e tutti sono contenti (…) 


Qualsiasi lettore, aprendo il libro, non può che provare un frisson, visto che gli si annunciano orrori a bizzeffe. Poco conta che nel testo, contrariamente a quanto promesso dal risvolto (“un libro (…) scrupolosamente documentato), non sia presentata alcuna documentazione (…) la mia ipotesi è che, fin dal contenitore esterno e dalle sue finestre aperte sull’interno del testo (copertina e relative immagini, il risvolto ecc., il libro sia stato costruito non come mera fiction (mimesi nella forma di un romanzo che ha certi protagonisti d’invenzione sullo sfondo del crimine), e nemmeno docufiction (una storia vera e “scrupolosamente documentata” ecc., anche se romanzata), bensì come docu/fiction, ovvero narrazione “a piega”, in cui finzione letteraria e funzione documentaria si implicano, a ogni pagina, direi a ogni riga (…) A me un’idea di letteratura basata sull’adesione al punto di vista di un autore che pretende di essere creduto ed è garantito dalla sua parola, e solo quella, non piace per niente (…) Gomorra è anche indirettamente, anzi anonimamente, una narrazione metadiegetica, perché riporta racconta di altri non meglio specificati (…) 
La storia dei “cinesi che non muoiono mai” è la più classica delle panzane, leggenda metropolitana perfetta, pari, per restare in tema di stranieri, a quella degli zingari che rubano i bambini o all’altra che furoreggiava una ventina d’anni fa, dei coccodrilli mutanti nelle fogne di Chicago (…) l’autore di Gomorra ci trasmette un disgusto in virtù del quale una certa umanità è vista alla stregua di materiale fecale. Non le merci globalizzate, ovvero la merda cinese, sono al centro del primo capitolo, ma i cinesi di merda (…)  l’io narrante si attribuisce la nobile ascendenza, con relativa eredità, dello scrittore profeta: “il mio io so (è) l’io so del mio tempo” – come dire che Saviano è il Pasolini del nostro tempo (…) L’io narrante, in tutto questo, si sta affermando come attore (…) La vicenda di Saviano – al tempo stesso letteraria, retorica e mediale – sintetizza gli aspetti che ho delineato sopra: l’unanimismo morale, l’insorgere del bene contro un Male variamente declinato in termini teratologici, l’eroismo, la voracità dei media (…) Una vicenda che fin dall’uscita del libro ha visto sovrapporsi letteratura, cronaca, frastuono mediale e spettacolo (…) il successo è un ingrediente essenziale nella santificazione di Saviano (…) Se si mette in rilievo la costruzione mediale del personaggio, si minimizza la funzione veritativa del suo messaggio. Se si discute la qualità del libro, si attacca la funzione pubblica dell’uomo, e quindi si “delegittima” (…) Se lo si critica, è perché si è invidiosi. Insomma, la verità letteraria del libro è quella morale del suo autore, che a sua volta corrisponde al “noi” degli scrittori, critici, politici e opinionisti che lo fanno proprio (…) che cosa conferisce a Saviano l’autorità morale per rampognarci tutti? (…) Rivaluta Almirante poiché, per ciò che riguarda il crimine organizzato, i suoi valori erano gli stessi di Borsellino. La lotta alla camorra, pertanto, diviene l’unico criterio di giudizio di ogni questione politica e d’attualità (…) Che Saviano veda qualsiasi realtà del nostro tempo, vicina o lontana, nella sua ottica ossessiva di scrittore anti-camorra appare in un intervento sulla morte dei sei paracadutisti italiani in Afghanistan nel settembre 2009 (…) Non una parola è spesa sulle circostanze del conflitto, sulla strategia degli americani e della nato e sul senso stesso di una guerra (…) Le opinioni di Saviano sono rigorosamente bipartisan ed evitano per lo più di prendere posizione sui conflitti politici in Italia (…) Quand’anche le mafie fossero ridotte all’impotenza, il bel paese continuerebbe ad essere governato da altri poteri (…) Pertanto, quando Saviano si presenta come uno in lotta contro “il” potere fa retorica (…) Perché ci sia l’Eroe ci vogliono gli Orchi. Ma perché il primo faccia bene il suo mestiere, c’è bisogno di un pubblico che l’incoraggia e l’applaude (…) E’ pensabile che oggi la letteratura, da noi, possa essere un’altra cosa?

* Manifestolibri, Roma, 2010
**Docente di Sociologia dei processi culturali all’università di Genova

3 commenti:

  1. Alla fine si potrebbe tracciare un'ipotetica linea che divide la vita di Roberto Saviano: da un lato il periodo pre-Gomorra, dall'altro quello post. Nella prima parte, almeno leggendo il suo bestseller, io faccio questa riflessione: "Ok, faceva il giornalista ma tutte le storie che racconta all'inizio di Gomorra, se sono vere almeno al 60%, perché non sono state denunciate alle autorità con lo stesso vigore con cui sono state messe nero su bianco nel suo libro?", nella seconda parte della sua vita, invece, il dubbio è "Ora cosa fa? Vive di rendita grazie alla fama seguita a Gomorra?" Poi ricordo che ogni tanto scrive articoli protetti da Copyright e co-conduce programmi televisivi... Io Roberto Saviano lo prendo così, ne ammiro la faccia tosta con cui si presenta (comunque ci vuole coraggio a rendere popolari certi argomenti), ma non prendo per oro colato ciò che dice e scrive, per il semplice motivo che lui non è Pasolini, come del resto non lo è Marco Travaglio. Quest'ultimo sì un furbo show man...

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  2. Concordo. L'uomo è un servo del regime.

    Vorrei farti una domanda sul generale Dalla Chiesa. sai se hanno mai preso i suoi assassini? Dei mandanti è inutile parlarne...

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  3. Una persona come Saviano non rinuncia alla propria libertà - ha la scorta - per fama, soldi o valori da poco, lo fa perché crede in quel che fa.

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